San Osvaldo

Tanti anni fa gli abitanti di Cleulis dovevano costruire il tetto della chiesa. Gli uomini della parrocchia di Cleulis andarono nel Bosc Bandît a tagliare la pianta dal tronco più grosso che avrebbe costituito la trave portante del tetto.
Tagliata la pianta e ripulita dai rami, non riuscirono a trasportarla a valle e decisero che sarebbero tornati su l’indomani mattina e l’avrebbero trascinata a valle lungo il rio di Jerba mala o Sgolvais. L’indomani, di buon’ora, il nonzolo Bellina Paolo aspettò, nel punto convenuto per un bel po’, ma nessuno arrivava. Dopo un po’ vide sul sentiero un ometto piccolo e paffuttello che gli fece cenno di tirare giù il tronco, ma il nonzolo disse:”Non ce la possiamo fare in due”.
Il nonzolo, siccome faceva un po’ freddo, andò a prendere la giacca che aveva lasciata poco più in là.
Quando ritornò sul luogo non vide nè l’uomo, nè il tronco, corse lungo il rio sperando di intrevedere qualcuno.
 
Giunto a valle, in località Aip, non vide nessuno, allora chiese alla padrona del mulino se avesse visto qualcuno, lei rispose: “Sì, San Osvaldo che trascinava un tronco”. Il nonzolo andò fino alla chiesa, vide il tronco già lì e vide anche che sul tronco non c’erano i segni del “sapin”. Da allora si dice che, a trascinare il tronco a valle, sia stato San Osvaldo, perchè era vestito in modo identico alla statua del santo, custodita in chiesa.
Alessandro Puntel
 
 BREVI CENNI SULLA VITA DI SAN OSVALDO - Re di Nortumbria e patrono di Cleulis
 
Verso la fine del sesto secolo dopo Cristo, l’Inghilterra era divisa in sette piccoli regni, uno dei quali era il Nortumbria. Nell’anno 594, era re di Nortumbria Etelfrido, noto a tutti per il suo coraggio e la sua audacia. Pagano di religione e di costumi, di carattere violento ed altero, era stato il terrore dei suoi nemici. Morì nel 617 lasciando tre figli: Eanfredo, Osvaldo ed Osvio.
Alla morte di Etelfrido, i re vicini, non dimentichi delle violenze e dei soprusi patiti durante i 24 anni di regno del fiero monarca, invasero la Nortumbria ed Osavldo e i fratelli furono costretti a prendere la via dell’esilio, rifugiandosi nella vicina Irlanda. Nei lunghi e dolorosi anni dell’esilio Osvaldo ebbe occasione di avvicinare per la prima volta i missionari cattolici inviati dal Papa a convertire quell’isola. La bellezza della nuova fede toccò il cuore del giovane principe, ne ingentilì l’animo, infiammandolo di un vivo desiderio di apostolato. Nel 630 Osvaldo ricevette il battesimo e consacrò tutto se stesso al servizio della nuove religione e promise, che se Iddio gli avesse restituito il trono del padre, egli si sarebbe adoperato con tutte le sue forze per fare della Nortumbria un regno cristiano.
Alla morte del fratello maggiore Eanfredo, le speranze del popolo, oppresso da lunghi anni di lotte e di violenze, si affissero tutte su di lui, conosciuto non solo per il suo valore, ma soprattutto per la sua bontà e carità. Richiamato in patria e designato al trono, il giovane re dovette mettersi a capo dell’esercito e suo malgrado muovere guerra al potente e feroce re Cedvalla, che opprimeva la sua patria. Quella fu per Osvaldo una guerra santa e di liberazione che a malincuore dovette condurre per liberare la sua patria ed il suo popolo dall’ oppressione nemica.
Al suo animo mite dispiaceva il dover spargere sangue fraterno ed egli avrebbe preferito rinunciare al trono e vivere povero ed esule, piuttosto che usare la violenza. Prima cura del nuovo re, fu quella di chiamare dalla vicina Irlanda monaci e sacerdoti per istruire e convertire il suo popolo alla fede; tra questi si distinse S. Aidano che, siccome conosceva solo la lingua irlandese, lo stesso Re lo aiutava come inter- prete nella predicazione. Era spettacolo commovente il vedere il giovane Re, deposta la corona e lo scettro, trasfondere in tutti gli insegnamenti di quel santo vescovo. Egli, più che Re, fu padre del suo popolo e non ci fu miseria alla quale non andasse incontro, non necessità alla quale non ponesse rimedio, non povero che non ricevesse il suo aiuto. Una volta, andando a caccia, viene avvicinato da un povero che gli chiede l’elemosina; S.Osvaldo si accorge con dispiacere di non avere nulla con sè, allora generosa- mente toglie l’anello regale e lo consegna al poveretto. Miracolo! Alla sera stessa, mentre ritorna al suo palazzo, scorge un uccello che, senza alcuna paura, viene a posarglisi sul braccio e nel becco porta il ricco anello donato la mattina al povero.
Forse a ricordo di questo fatto, S.Osvaldo viene raffigurato con in mano un merlo od un corvo, recante nel becco un anello. Verso la fine della sua vita, S.Osvaldo ebbe il dolore di vedere il suo regno colpito dal terribile flagello della peste. Colpito dal morbo, credendo prossima la fine, il Santo si preparò alla morte; ma non era ancora giunta la sua ora. Il nome di Osvaldo era invocato e benedetto da tutti: i suoi sudditi ringraziavano Dio d’aver loro donato un sì grande e pio re ed i popoli vicini invidiavano la loro sorte, chiedevano come grazia di passare sotto il suo dominio. Ma se tutto ciò serviva ad accrescere la fama della grandezza e santità del Santo, contribuiva ad aumentare l’invidia, la gelosia e l’odio dei re pagani vicini. Questi, uniti i loro eserciti, gli mossero guerra. Lo scontro avvenne il 5 agosto 642 nella pianura di Meserfelth. S. Osvaldo ed i suoi si batterono in difesa della propria fede; ma erano pochi a confronto dello sterminato esercito nemico. Durante la battaglia il Santo cadde sul campo colpito a morte; aveva soli 38 anni, dei quali appena sette di regno.
S.Osvaldo è invocato ancora contro la peste e le malattie infettive ed è considerato il Santo apportatore di buone nuove. Ai 5 di agosto di ogni anno, dai paesi dell’Alto But e della Carnia, salgono i devoti verso la parrocchia di Cleulis, per venerare la bella immagine e baciare la reliquia del grande Santo, che pur essendo vissuto tanti secoli fa nella lontana Inghilterra, continua a vivere per mezzo della fede nel cuore dei suoi figli e devoti, distribuendo grazie e favori ai suoi ammiratori.
 
 
Tanc’ agns indaûr, i clevolans erin rivâz cui lavôrs al colm da gleisa. I oms di Cleulas ai son lâz tal Bosc Bandît a taiâ la planta plui grossa. Taiada la planta, netada dai ramaz a no son rivâz a puartalâ jù e a Si metin dacordo di tornâ tal indoman buinora e di puartâla iù tiranla pal riu di Jerba Mala. L’indoman buinora il muini Bellina Paolo al ere ch’al spietava biel da un pouc ca rivassin chei aitiS, ma al no rivava nisSun. Subit dopo al jout, su pa straduta, un omenut picul e ben pasSût ca i fâS moto di tirâ iu la planta, ma il muini al dîs: “No rivìn in doi” e, sicome ch’al veve freit, al va a cjoli la gjachete ch’al veve lassât plui in là. Cuant ch’al torna indaûr a nol jout plui nè l’om, nè la planta; al cor dilunc il riu sperant di jodi cualchidun.
Rivât da pît, in Alp, nol jaut inmò nisSun, alore al domande a parone dal mulin sa veve jodût cualchidun e iei ai rispuint: “Sì, San ‘Sualt”. Il muini al cor fint su pa puarta da gliesa e al jout che il colm al era biel za aì e che su pal len non d’era nencja una busa fata cul sapin.
D’ in che volta a Si conta che la planta al à tirada jù San ‘Sualt.
Antonio Puntel
 
 
Vor viil joarn da lait va Chlalach hont ckoot in dooch var chircha za mochn. Da mandar van doarf sent gon in Varpoutnan Bolt in greasastn unt dickastn paam hockn. Mensin hont ckoot aus cpazzt, senza niit zareacht cheman oar zan viarnin unt honzi untarreit zan pachemansi in toog darnooch in oldarvria unt oar ziachnin ibarn groom var Jerba mala.
In ondarn toog indarvria dar meisnar Bellina Paolo is dar earschta aufn cheman in bolt, hott a schia bailali gaboartat noor sichtar va baitnst cheman a chlaa mandl asin zak oar za ziachn in schtock, ovar dar meisnar sokkin: “Miar cheman niit zareacht in zbaa”, noor baldar ckolt hott, geatar neman in rock asar a pisl baitar dort hott ckoot glosn.
Mendar bidar hintar is cheman sichtar niamar niit in moon odar niit in schtock, laftar check ibarn groom oachn min seen iamp za pacheman, chimpar in Alp unt vrok in baib as afta miil iis gabeisn mensa iamp hott zeachn, unt sii tuatin ompartn: “Io, in hailing Sghualt as aan schtock hott gazouchn” Dar meisnar geat pis par chircha, sicht in schtock schuan seem unt avn holz chana leichar van zapin. Var seen mool auf sokmar as dar Hailiga Sghualt in schtock hott oar gazouchn, baldar glaich is gabeisn ongleik abia dar see as in da chircha iis.
Mirco Mentil

< Torna alla pagina delle leggende