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Pochi preti: le
parrocchie si consorzieranno. Intervista allarcivescovo di Udine
monsignor Pietro Brollo
(Paolo Mosanghini)
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«Limpegno maggiore di questi dodici
mesi è stato la redistribuzione dei sacerdoti sul territorio»
La redistribuzione del clero, la riorganizzazione
delle parrocchie e delle foranie: è stato questo limpegno
maggiore che ha coinvolto nel 2001 larcivescovo monsignor Pietro
Brollo. Il 7 gennaio sarà un anno dal suo rientro in Friuli come
arcivescovo. In precedenza era stato vescovo ausiliare di Udine, prima
di essere chiamato in Veneto, come vescovo di Belluno-Feltre. Arciprete
di Ampezzo prima e di Gemona poi, monsignor Brollo è stato anche
rettore del seminario maggiore di Castellerio. Incarichi, dunque, che
lhanno portato a conoscere molto bene la realtà del clero
friulano.
Eccellenza, qual è il bilancio di questanno di attività
come arcivescovo di Udine?
«Evidentemente, come primo anno si è trattato soprattutto
di una presa di coscienza della situazione attuale della Diocesi. Poteva
sembrare che la mia assenza di qualche anno dal Friuli non domandasse
del tempo per puntualizzare la situazione presente. Ma ci sono stati alcuni
cambiamenti che mi hanno imposto di riflettere un po di più.
Il problema che più mi ha interessato e colpito è stato
quello della situazione attuale del clero nella nostra Diocesi in rapporto
al numero dei sacerdoti e dei servizi che sono richiesti. Sapevo che il
problema poneva una necessità di modificare il nostro modo di essere
e di fare pastorale. La presa di coscienza concreta della situazione attuale
mi farà impegnare anche lanno pastorale che è cominciato
a settembre per verificare meglio la distribuzione dei sacerdoti in Diocesi
in prospettiva del prossimo decennio. Questo ha fatto rallentare la partenza
di un progetto pastorale che è stato individuato e condiviso e
che vorremmo attuare».
Quale?
«Un progetto che vede le foranie come luogo di lavoro comunitario,
non per abolire le parrocchie, ma per dare alle comunità la possibilità
di assolvere al compito per cui esse esistono, cioè di offrire
servizi di culto, preghiera, carità, catechesi; insomma ciò
che una parrocchia deve esprimere. La mancanza di un sacerdote in loco
pone la necessità di ristrutturare questo modo di essere. Tale
cammino chiamerà in causa i sacerdoti per una nuova collaborazione
e affinché possano poi coinvolgere in modo corresponsabile i laici».
Qual è stato limpegno maggiore e anche il più difficile?
«La ridistribuzione del clero. Volendo cominciare un cammino pastorale
foraniale, la mobilità del clero doveva essere affrontata. Prima
di tutto, dunque, è importante stabilizzare la situazione delle
foranie, costruire la squadra e poi lavorare. Non che adesso non si cammini,
ma da settembre prossimo si potrà cominciare con la sperimentazione,
con alcune foranie che sono più disponibili o più pronte
a poterlo fare per camminare insieme e studiare ancora meglio questo progetto
che necessita di sperimentazione guidata, seguita dal centro della Diocesi,
quindi con la presenza del vescovo, del vicario per la pastorale, dei
centri diocesani affinchè siano di supporto alla progettazione
e al cammino di queste foranie».
Trasferire i sacerdoti è un lavoro ingrato, considerato che ci
sono state anche critiche.
«E evidente. La fatica di un cambio, di una risistemazione,
è tale per il sacerdote che cambia parrocchia e che ha vissuto
in un luogo per molti anni. Ed è fatica per la comunità
che era abituata a convivere con un sacerdote che lavorava bene. E
chiaro che il cambiamento porta a una fase delicata. Però le scelte
le devo fare. Certo consigliandomi, vedendo, verificando. Mi auguro che
la fatica di questi cambiamenti non porti i sacerdoti a scoraggiarsi e
non conduca le comunità a un clima di disarmo. Ciò che si
vorrebbe fare è invece entrare in una fase propulsiva per proporre
un modo diverso, un cammino diverso di fare pastorale, dettato dalla necessità
che non possiamo non vedere. In questo modo realizzeremo qualcosa per
il futuro. Bisogna passare da una fase dove si tamponava la mancanza dei
sacerdoti allindividuazione di strade che permettono di costruire
il futuro. Spero che lentusiasmo prevalga rispetto alla fatica».
In questa fase propulsiva cosa manca?
«La percezione che è necessario un cambio notevole di mentalità.
La destinazione per un sacerdote era quella di essere pastore di una comunità.
Invece oggi si è chiamati a camminare in rete, a mettersi insieme,
a collaborare tra sacerdoti e laici. Non è facile questa riconversione,
dal punto di vista personale perché i rapporti e il modo di camminare
insieme non sono calati dallalto: cè chi ha più
predisposizione e chi ne ha meno. Si tratta di immaginare un nuovo lavoro
da fare insieme».
Come giudica limpegno dei laici in Friuli?
«Ci sono tante forze laicali. Credo che la radice friulana sia ancora
una radice profondamente religiosa. Si tratta di saper coinvolgere in
unazione che renda responsabili questi laici del dono ricevuto dalla
propria fede.Coscienti che il battesimo è importante, bisogna prendere
coscienza della propria fede per realizzare quello che i Vangeli dicono.
La fede va comunicata, e bisogna chiamare i cristiani a rendere ragione
della propria fede per poi fortificarli, renderli più entusiasti.
In passato cerano sacerdoti in abbondanza e questo forse ha contribuito
a far calare la tensione del laico. Va ripresa coscienza che la Chiesa
è fatta di tutte le sue componenti».
Quali sono lattività, la partecipazione e limpegno
nelle parrocchie?
«In alcune foranie cè uno sbilanciamento determinato
dalla singola parrocchia. Lazione adesso è ancora su ritmi
consolidati, pertanto dove la comunità parrocchiale ha trovato
un modo di aggregazione lattività è interessante e
valida, ciò avviene magari accanto a parrocchie in situazione più
debole. Il lavoro foraniale è cominciato ed è molto interessante
in alcune foranie, però siamo agli inizi. Ci sono situazioni troppo
diversificate ed è ciò che si vorrebbe superare. Il divario
va colmato per poi procedere insieme».
Parliamo della famiglia, che dovrebbe essere il primo nucleo di formazione,
e quindi anche di trasmissione dei valori.
«E un problema reale e grave, tocca uno dei punti di forza
dei valori della nostra tradizione friulana. Adesso non ci sono più
distinzioni tra zone protette o meno e questa crisi entra dappertutto.
Allinterno di questa insicurezza che soprattutto i nostri giovani
sono chiamati a vivere si inserisce lincertezza nella progettazione
della famiglia, nella conduzione della famiglia stessa. Il lavoro importante
da fare è quello di aiutare le nostre famiglie nel momento di preparazione,
nel momento in cui queste si trovano ad attraversare difficoltà.
E un problema immenso e questo fa dire che la singola parrocchia
non è preparata ad affrontare temi di questo genere. Serve una
collaborazione per far emergere una proposta valida. Il lavoro per e con
le famiglie dovrà trovare prima di tutto disponibili coppie che
si mettano al servizio di questa pastorale, ma perché queste siano
preparate a un tale impegno vanno messe in rete, per poter maturare, crescere.
In un progetto foraniale questo si potrà realizzare».
Ha fiducia nei giovani?
«Sono sempre convinto che il giovane è animato da ideali,
ma purtroppo gli ideali si spengono presto perché il nutrimento
che è dato li soffoca. Potenzialmente il giovane è portato
allideale, accetta di essere stimolato su valori elevati».
Nella quotidianità cè difficoltà a essere cristiani:
nella famiglia, nel lavoro, nel tempo libero, nella società in
generale...
«La difficoltà sta nellannunciare il Vangelo in un
mondo preso dal consumismo che uccide lanima. E cè
poi unaltra difficoltà che è data dalla coscienza
che ognuno ha del suo essere cristiano. Se si prende coscienza della propria
fede si sente la fatica, ma si vive con entusiasmo e gioia. E necessario
prendere coscienza di cosa vuol dire essere cristiani. Il cristiano non
può stare più sulla soglia a guardare».
Nellomelia di Natale ha fatto riferimento ai politici. Come si fa
a coniugare fede e carriera politica?
«Il dialogo e limpegno del politico devono essere quelli che
ci indica il Vangelo, cioè servizio alla comunità. Invece
troppo spesso si assiste più a una guerra personale, che tende
alla demolizione delle persone più che alla contrapposizione di
idee che sarebbe molto più interessante. Si assiste alla ricerca
di punto debole nellaltro per abbattere lavversario. E si
considera vittoria non una bella ipotesi realizzata, ma la sconfitta dellavversario.
La vittoria avviene invece quando il problema risolto ha contribuito a
dare alla gente un servizio e una prospettiva maggiori».
In alcuni Paesi dimenticati, le guerre vanno avanti da anni. Ma dall11
settembre cè una contrapposizione tra civiltà, tra
religioni diverse. Comè possibile la guerra nel nome di Dio?
«Non è possibile, come ha detto il Papa: in nome di Dio non
si giustitica nessuna guerra. Invece persone che strumentalizzano la religione
per contrapporsi in modo violento esistono nel nostro mondo occidentale
e dove queste contrapposizioni sono legate a tribù, a etnie o altro.
Poi ci sono contrapposizioni in una cosiddetta fede. Ciò che invece
penso è che sarebbe bene che la gente riuscisse a riflettere sulla
consistenza della persona, cioè è necessario un esame di
coscienza sulla civiltà in cui viviamo. Che cosè che
ci fa comunità o famiglia? Stiamo distruggendo tutto questo alla
ricerca di un consumismo esasperato, ma che svuota sempre di più
la nostra stessa identità, la nostra appartenza, che è la
base del nostro cammino. Cè un individualismo esasperato.
E noi cosa contrapponiamo al fondamentalismo islamico? Certo non ci considerano
società di valori per le macchine, per i mezzi che abbiamo. I valori
dove stanno da noi? E questo loro lo percepiscono. Chiediamoci che civiltà
stiamo portando avanti, stiamo sprecando tempo e lasciando il vuoto a
quelli che vengono dopo. Corriamo dietro al consumismo, ma se ci fermiamo
a chiederci cosa stiamo facendo, forse possiamo ritrovare la nostra coscienza
e lappartenenza».
A Natale lei ha fatto visita ai carcerati e alle ragazze che vogliono
uscire dalla tratta. Che significato ha voluto dare a questi incontri
con persone che vivono un disagio, seppur così diverso?
«Credo che questo si inserisca nella normale attività di
un pastore, perché Cristo si è curato di persone bisognose,
sofferenti. Visitando questi luoghi, che sono tipici dellemarginazione,
ho solo cercato di stare vicino agli emarginati. Il carcere è luogo
di emarginazione, dove si subisce la pena, ma manca laiuto per ricreare
la propria esistenza. Importante è cercare di tenere accesa una
scintilla con la società per far capire che cè qualcuno
che non ha chiuso i rapporti con queste persone. Più gratificante
è stata la visita alle ragazze che vogliono uscire da un giro nel
quale erano costrette come necessità di sopravvivenza. In loro
cè la volontà di riprendere una strada nuova, anche
se non è facile ricostrursi dopo esperienze così traumatiche».
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