Nella foto i lavori per la costruzione della chiesa di Cristo Re nel 1946
Se qualche lettore, giunto alla fine di queste righe, esclamerà tra l’incredulo e l’indispettito: “Ma questi si sono davvero montati la testa!” sappia che noi due, Mauro Unfer e Rocco Tedino, siamo perfettamente d’accordo con lui. In effetti, siamo convinti che nella vita non bisognerebbe mai perdere di vista un minimo di umiltà, attendendo che siano gli altri a sottolineare qualche nostro eventuale merito. Neanche il tempo di formulare questa saggia riflessione che arriva fulminea la domanda: “E allora, perché avete fatto sapere, con grande strepito di tamburi, che vi hanno assegnato un premio letterario?”. A questo punto, non possiamo più nasconderci dietro un filo di paglia, tanto più che siamo veramente contenti di essere stati i destinatari di un prestigioso riconoscimento in ambito culturale. Spieghiamo allora di cosa stiamo parlando, a beneficio di quei pochi che ancora ci gratificano di un briciolo di attenzione. Premesso che respingiamo con virtuosa indignazione l’infamante accusa di andarcene in giro pestando fragorosamente su un tamburo (noi preferiamo urlare le notizie dai tetti), sappiano i curiosi che un paio di mesi fa abbiamo inviato all’Istituto bellunese di cultura una copia del libro, ancora inedito, che racconta i sessantacinque anni di vita della chiesa di Cristo Re di Timau, scritto da Mauro e Rocco con la preziosa collaborazione di Peppino Matiz. Il libro, che contiamo di far stampare non appena conclusa la fase di raccolta delle informazioni che giudichiamo utili ai fini della completezza narrativa, racconta la storia della mastodontica chiesa costruita dai timavesi a partire dal marzo del 1946, sulla spinta di un milione di lire elargito al parroco da un donatore mai identificato con sicurezza: era un ufficiale tedesco? era un dignitario cosacco? Non si è mai riusciti ad appurarlo al di là di ogni dubbio. Noi abbiamo riportato ogni possibile testimonianza, scritta o orale, che potesse gettare un po’ di luce sui caotici avvenimenti che accompagnarono, in quell’inizio del maggio 1945, il tragico esodo dei tedeschi e dei loro alleati caucasici, diretti in Austria attraverso il passo di Monte Croce Carnico. Ne è venuta fuori una cronaca per certi versi affascinante che ci auguriamo possa interessare il lettore. Nella presunzione di aver confezionato un prodotto passabile, avevamo deciso di partecipare al premio letterario intitolato alla compianta contessa Caterina Bellati De Cia, una nobildonna di preclari virtù morali ed intellettuali. Nutrivamo pochissime speranze di riuscita, credeteci, e invece con nostra grande sorpresa, e soddisfazione!, le personalità chiamate a giudicare i lavori presentati hanno ritenuto anche il nostro meritevole di menzione, con tanto di attestato che sottolineava i brillanti risultati raggiunti nel campo della divulgazione della cultura timavese. Dimenticavamo: l’attestato era accompagnato da un assegno non tanto alto da giustificare spese pazze, ma neppure tanto basso da non permetterci di offrire una romantica cena alle nostre consorti. L’essere entrati a far parte del ristretto numero di “scrittori” meritevoli premiati a Belluno ha innescato un irrefrenabile processo di autocompiacimento dal quale per il momento non riusciamo ad evadere, nonostante i numerosi tentativi posti in atto. “Perché – ci siamo allora detti – non provare a raccontarlo in giro? Magari ci piove sul capo un uragano di lazzi e frizzi che ci guarirebbe di botto dall’attacco di vanagloria del quale siamo prigionieri!”. E’ questa la ragione per cui state leggendo queste paginette. Se qualcuno volesse esprimerci il suo compiacimento con una frase gentile, sappia che conquisterà la nostra eterna riconoscenza. Ma se neanche un cenno di apprezzamento dovesse giungere, ebbene, sapremo superare con virile sopportazione anche questo rovescio della fortuna. Come si dice: nemo propheta in patria…
Rocco Tedino
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