Il Fau Copâri

Una volta, a Cleulis, c’era una donna che doveva partorire. Un giorno prese il “masanc”, la falce e la gerla e andò in montagna a falciare un pezzetto di prato. Dopo un po’ si sentì male, mise tutti i suoi attrezzi nella gerla e si avviò. I dolori si facevano sempre più intensi, allora si sedette vicino ad un faggio e partorì.
Mentre partoriva, il faggio abbassò i rami per proteggerla. La donna vide che il bambino stava per morire e decise di battezzarlo.
Siccome era sola, chiese al faggio se voleva essere il padrino del bambino e lui, abbassando i rami, accettò.
Tornò in paese con il bambino nel grembo e raccontò alla gente e al sindaco che in montagna aveva battezzato il suo bambino e un faggio le aveva fatto da padrino.
Qualche tempo dopo tornò su e disse: “Bondì, copâri” e il faggio abbassò i rami.
Lei raccontò l’episodio alla gente la quale, incuriosita, voleva vedere di persona e andò in montagna assieme alla donna, ma l’albero non abbassò più i rami. Quando i boscaioli, parecchi anni dopo, tagliarono il faggio, non
uscì linfa, ma sangue.
Manuela Puntel
 
   
 NOTE: Riferimento al momento del parto
 
Siccome la donna continuava le sue attività fino all’ultimo, non sono stati infrequenti i parti in viaggio, o in stalla o in montagna. Le donne di Cleulis, prossime al parto, portavano con sè un paio di forbici dopo che una compaesana era morta dissanguata per aver malamente tentato di spezzare il cordone ombelicale. Questi parti fuori regola accadevano anche per gli sforzi e il sovraccarico che provocavano anticipi traumatici. A Cleulis si racconta di una donna che, avendo partorito all’aperto, sotto un faggio, ogni volta che passava di lì, lo salutava: “Bondì, copari!”, (ciò rimanda ad uso antico DE TERRA TOLLERE che doveva esistere anche da noi, se l’espressione classica del raccogliere il neonato è “cjapâ su,...”) Se l’esistenza del neonato era precaria, si affrettava il battesimo, la privazione del battesimo era molto temuta, poichè relegava la sepoltura in “terra non consacrata”. Si riteneva però che, portando subito il corpicino in certi luoghi, indicati a tali scopi, il bimbo resuscitasse per il tempo necessario a ricevere il battesimo. Così avveniva portando il bimbo al Santuario della Madonna di Trava alla quale sono dedicati molti ex - voto, offerti anche da genitori venuti da lontano. La storia di questo Santuario è molto interessante: esso fu eretto nel secolo XVII, dopo che la venerazione popo- lare aveva dedicato una piccola “maina” - cappelletta, ad un’immagine della Madonna del Carmine che, probabilmente per secoli, era stata collocata su un antico albero sacro (la leggenda popolare dice “trovata” sull’albero). E’ credibile che le popolazioni, una volta cristianizzate, abbiano trasformato un precedente culto pagano: potrebbe essere forse collegato alla leggenda dell’ “albero padrino”.
 
 
Una volta a Cleulas a era una femina ca veva di comprâ. Une dì a tol il massanc, la falc’ e il gei e a si è inviada su pa mont a seâ un poucja di jerba. Dopo un pouc ai è vignût mâl, a cjape su duc’ i siei impresc’ e a fâs par vegni a cjase.
I mâi a erin simpri plui fuarz, alora a si senta sot un fau e a compra. Tant ca compra il fau al sbassa i ramaz par taponâla.
La femina a juot che il frutin al sta par murî e a pensa di batialu.
Iei a era besola, alora domanda al fau cal fasi di copari al frutin e lui ai rispuint, sbassant i ramaz, ca i va ben.
Tornada jù in tal pais cul frut tal grim, a conta a int e al sindic, che in mont veva batiât il so frut e che un fau i veva fat di copari.
Un pouc di timp dopo, torna su tal bosc, si ferma davant al fau e i dîs: “Bondì, copari!” e il fau al sbassa i ramaz.
Iei conta il fat a int e chei, curious, vulin iodi cui lôr voi e a van in mont cu la femina, ma l’arbul nol sbassa plui i ramaz.
Quant che i menaus, tant timp dopo, a tain il fau, dal len no ies linfa, ma sanc.
Antonio Puntel
 
 
Amool a baib va Chlalach is indarhoufin gabeisn. An toog nemza in masank, da sensa unt in choarb unt geat zeibarsta laitn manan a pisl groos. Noch an bailalan, herzasi nizz guat, schteilt ols sai zoi in choarb unt geat hammbearz.
Da bearna bearnt obla schterchar, unt nouch bait va da hama, sitza zuachn a puacha unt tuat ampintn. Dareimst as is chint is gapoarn, da puacha, zan varschtecknsa, tuat nidar da eistar.
Is baib varnemzi as is chint bar ctoarm unt denckt zan tafns.
Balsa laai alana is gabeisn, vroza dar puacha mensa gouta hiat gamocht in chint, da puacha tuat bidar nidar da eistar za sonar va bool.
Bisa in doarf is cheman min chint in da schoas, darzeilza in lait unt in schindik asa is chint avn pearg hott gataft unt asar a puacha gouta hott gamocht.
Noch aan bailalan isa bidar aufn gongan avn pearg unt mensa zuachn par puacha is cheman, hozzisa gagriast “Christis, gouta!”.
Da puacha, af deeng, hott da eistar nidar gatonan.
Bisa in doarf oar is gongan, hozza darzeilt oln in lait, as churious, hont gabelt selbar seachn. Is a gonzar cock aufn gongan min baib, ovar da puacha, mensa aa is boarn gagriast, hott niamar nidar gatonan da eistar.
Noch aneitlan joarn, men da holzchneackta in paam hont chockt, is pluat ausar cheman.
Martina Muser

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