Mercoledì delle ceneri, Quaresima e Via Crucis tre appuntamenti religiosi molto importanti

Nella liturgia della Chiesa non sono certamente poche le occasioni che invitano i credenti a partecipare, con fede e genuino trasporto, alle cerimonie religiose istituite per avvicinare l’uomo al suo Creatore. Accanto alle feste più importanti della cristianità, entrate nel cuore della gente grazie al loro enorme significato spirituale, il calendario ecclesiastico prevede numerosi altri appuntamenti che rivestono un’importanza notevole nel cammino sulla via della fede. Nel periodo che intercorre tra l’ultimo giorno di carnevale e il giovedì santo, ad esempio, vengono celebrati tre riti che affondano le loro radici nelle prescrizioni delle Scritture e si impongono il compito di ricordare all’uomo la sua condizione di estrema fragilità di fronte all’eternità. Si tratta del “mercoledì delle ceneri”, della Quaresima e della Via Crucis. Proviamo ad analizzarli più a fondo.
Non si sono del tutto spenti gli echi delle feste di Carnevale, elargite a piene mani da un gaudente e fracassone martedì grasso, che già la Chiesa cattolica chiama bruscamente il popolo dei fedeli a riflettere sulla precarietà della vita umana e l’ineluttabilità della morte. Questo, espresso con una sintesi più che stringata, è il significato del “Mercoledì delle ceneri”, il primo mercoledì di Quaresima, così denominato perché in questo giorno il celebrante benedice le ceneri (quelle per uso liturgico provengono dalla combustione dei rami di olivo e delle palme benedetti l’anno prima) e le “impone” sul capo dei fedeli, tracciando con esse una croce sulla fronte di ciascuno e pronunciando le parole: “Ricordati, o uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai”. La celebrazione delle ceneri nasce da un’antica prassi che prevedeva la solennizzazione pubblica della penitenza, un rito da cui prendeva l’avvio il cammino penitenziale dei fedeli che sarebbero stati assolti dai loro peccati la mattina del giovedì santo. Nei primi secoli i penitenti si presentavano al Vescovo con il capo coperto di cenere; più tardi fu il Vescovo stesso ad aspergerla sul capo dei penitenti: la cerimonia veniva celebrata la sesta domenica prima di Pasqua, cioè il primo giorno di quaresima. Sotto il pontificato di Gregorio Magno, essa fu spostata al mercoledì. La disciplina penitenziale ha subito, nel tempo, una profonda evoluzione, fino ad attestarsi sulle modalità attuali.
Ad esempio, il gesto dell’imposizione delle ceneri si è esteso a tutti i fedeli, non soltanto ai penitenti pubblici, e la successiva riforma liturgica ha ritenuto opportuno conservare l’importanza di questo segno. Ma perché la Chiesa cristiana considera la cenere come un simbolo di penitenza? Perché tale significato è ad essa attribuito dalla Bibbia, che rivela, in alcuni passi, una duplice valenza dell’uso delle ceneri.
Queste ultime rappresentano, innanzitutto, un segno della debole e fragile condizione dell’uomo. Abramo, rivolgendosi a Dio, dice: “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere..” (Gen 18,27). Giobbe, riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con amaro avvilimento esclama: “Mi ha gettato nel fango: sono diventato polvere e cenere…” (Gb 30,19).
L’altro valore liturgico delle ceneri è rappresentato dal gesto di colui che se ne asperge perché si è pentito del male commesso e decide di percorrere la strada che porta al Signore. Ne fa fede il testo biblico in cui si ricorda la conversione degli abitanti di Ninive determinata dalla predicazione di Giona: “I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere.” (Gio 3,5-9).
Anche Giuditta sprona tutto il popolo a fare penitenza, se vuole che Dio intervenga a liberarlo dal pericolo dei nemici: “Ogni uomo o donna, e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme, si prostrarono davanti al Tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore.” (Gdt 4,11).
La suggestiva cerimonia del mercoledì delle ceneri riveste, dunque, un duplice significato chiaramente espresso dalle due formule che accompagnano l’imposizione: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai” e “Convertitevi, e credete al Vangelo”. Adrien Nocent, stimato studioso ed esegeta delle Sacre Scritture, nota che la prima formula è quasi esclusivamente legata al gesto di versare le ceneri, mentre la seconda investe un orizzonte più ampio, in quanto pone l’accento sull’aspetto positivo della Quaresima che ha il suo inizio temporale al termine di quel rito. Partendo da queste premesse, il liturgista propone una soluzione per certi aspetti rivoluzionaria e suggerisce di fondere le due formule in un’unica enunciazione che, congiuntamente, esprimerebbero meglio il significato della celebrazione: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai: dunque, convertiti e credi al Vangelo.” Peccato che la nuova formula si presenti obiettivamente troppo lunga!
Ed eccoci alla Quaresima.
Nella liturgia della Chiesa cattolica, la Quaresima rappresenta quel periodo di quaranta giorni (il termina, infatti, deriva dal latino quadrigesimus, cioè “quarantesimo” giorno prima di Pasqua) che va dal mercoledì delle Ceneri all’inizio del triduo pasquale. E’ un tempo di penitenza o di particolari pratiche di devozione e stabilisce un distacco netto tra il profano dei festeggiamenti di carnevale, a volte sopra le righe, e il sacro delle meditazioni che rinvigoriscono la spiritualità. L’istituzione della Quaresima fu suggerita dai quaranta giorni passati da Gesù Cristo nel deserto, digiunando e pregando, come preparazione alla sua vita pubblica culminata nel triduo pasquale (che, giova ricordarlo, comprende l’Ultima Cena, il Venerdì santo e Pasqua di resurrezione). Scopo, pertanto, della Quaresima è preparare alla celebrazione della Pasqua sia i catecumeni sia i fedeli, per mezzo del ricordo del battesimo e della pratica della penitenza, basata soprattutto sul digiuno e le temporanee rinunce agli agi materiali. L’origine della Quaresima si fa generalmente risalire alla fine del II secolo. Essa comprendeva cinque settimane più quella chiamata “santa” che precedeva la Pasqua: escludendo il triduo pasquale, il suo periodo di durata toccava esattamente i quaranta giorni. C’era, però, un intoppo, e cioè che la domenica non si digiunava. Per raggiungere il numero di quaranta giorni, si decise allora, verso il VI secolo, di anticipare la Quaresima al mercoledì, oggi chiamato “delle ceneri”. Milano, tuttavia, continuò a seguire la prassi primitiva ed è per questo che ha il carnevale più lungo (carnevale ambrosiano). Durante la Quaresima non si dice l’Alleluja e l’uso degli strumenti musicali è consentito soltanto per accompagnare i canti. Per meglio accentuare la meditazione dei fedeli sul mistero pasquale, durante la Quaresima si limita molto la celebrazione delle feste dedicate alla Vergine e ai Santi, si invitano i fedeli alla penitenza con il digiuno obbligatorio nei giorni di Mercoledì delle Ceneri e Venerdì santo, si impone l’astinenza dalle carni ogni venerdì quaresimale. Sono, inoltre, proibite le celebrazioni solenni dei matrimoni e ai fedeli è offerta maggiore possibilità di ascoltare la parola di Dio, che invita ad una preghiera più intensa, capace di far intendere meglio la gravità del peccato sotto l’aspetto dell’offesa a Dio e del danno arrecato alla morale sociale. La stessa penitenza, con astensione almeno parziale da svaghi o divertimenti, deve avere valore di solidarietà e di aiuto al prossimo bisognoso, perché quanto si risparmia in tali piaceri sia devoluto nella carità verso i poveri. Per completezza di informazione, aggiungiamo che il nome di “quaresima” o “quaresima minore” è stato dato a periodi di digiuno in uso in vari ordini monastici. Così si parla, prima di Natale, della “quaresima di San Martino” e, prima della Pentecoste, della “quaresima di San Giovanni Battista”.
Chiudiamo con la cerimonia forse più toccante e significativa delle tre: la Via Crucis.
La Via Crucis (dal latino Via della Croce, anche detta Via Dolorosa) è un rito cristiano, celebrato sia dalla Chiesa cattolica che dalla Chiesa anglicana, con cui si ricostruisce e commemora il percorso doloroso di Gesù Cristo che si avvia alla crocifissione sul Golgota. La Via Crucis rappresenta un momento di preghiera, di riflessione e di penitenza. A Timau, questo importante rito si celebra nell’austera cornice del locale Tempio Ossario ogni venerdì del periodo di Quaresima e il ciclo di ricorrenze termina il venerdì santo. Lo svolgimento della cerimonia è davvero suggestivo e la successione delle formule di rito, che sottolineano il grande valore religioso dell’offerta al Signore del dolore e della sofferenza, rivestono tutta la funzione di un profondo significato morale. La scansione degli episodi raccontati dalla Via Crucis si può leggere nelle quattordici stazioni, una serie di “quadri” che illustrano i momenti salienti della passione di Cristo.
Le stazioni della Via Crucis, come noi la conosciamo tradizionalmente, sono le seguenti:

1. Gesù è flagellato, deriso, condannato a morte;
2. Gesù è caricato della croce;
3. Gesù cade per la prima volta;
4. Gesù incontra sua Madre;
5. Gesù è aiutato a portare la croce da Simone di Cirene;
6. Santa Veronica asciuga il volto di Gesù;
7. Gesù cade per la seconda volta;
8. Gesù ammonisce le donne di Gerusalemme;
9. Gesù cade per la terza volta;
10 Gesù è spogliato delle vesti;
11 Gesù è inchiodato sulla croce;
12 Gesù muore in croce;
13 Gesù è deposto dalla croce
14 Il corpo di Gesù è deposto nel sepolcro.

A volte, la Via Crucis viene terminata con una quindicesima stazione, la Resurrezione di Gesù. Questa aggiunta, nelle intenzioni degli autori, vuole significare che la preghiera cristiana, nella contemplazione della passione, non può fermarsi alla morte, ma deve guardare al di là, alla resurrezione dal regno dei morti, l’atto finale di cui i Vangeli parlano. La tendenza generale, tuttavia, è quella di evitare tale stazione e di limitarsi ad annunciare la resurrezione in una specifica riflessione, in maniera che la Via Crucis rimanga una meditazione della passione.
Scopriamo adesso come è nata la celebrazione della Via Crucis. Alcuni fanno risalire la storia di questa devozione alle visite di Maria, madre di Gesù, presso i luoghi della Passione a Gerusalemme, ma la maggior parte degli storici propende per l’attribuzione di questa pia pratica a San Francesco d’Assisi, o comunque alla tradizione francescana. Intorno al 1294, Rinaldo di Monte Crucis, frate domenicano, racconta la sua salita al Santo Sepolcro “per viam per quam ascendit Christus, baiulans sibi crucem”. Il frate definisce stazioni le varie tappe da lui affrontate, alle quali conferisce una denominazione tenendo presenti tutti gli episodi che formano il racconto della Passione, fino alla morte di Gesù: il luogo della sua condanna a morte, l’incontro con le pie donne, la consegna della croce al Cireneo, le cadute così via, fino alla morte in croce e alla discesa nel sepolcro.
Originariamente, la vera Via Crucis comportava l’obbligo di recarsi materialmente in visita presso i luoghi in cui Gesù aveva patito atroci tormenti ed era stato messo a morte. Poiché troppe persone erano impossibilitate ad adempiere a tale prescrizione, fu deciso di disporre sulle pareti delle chiese i quadretti con le “stazioni”: le loro rappresentazioni -che sprigionavano una forte, coinvolgente carica emotiva -trasportavano idealmente i credenti fino a Gerusalemme e sostituivano egregiamente i lunghi, costosi e pericolosi viaggi in terre lontane ed inospitali. La pratica popolare di ricorrere alle “stazioni” venne diffusa dai pellegrini di ritorno dalla Terra Santa e principalmente dai frati Minori francescani che, dal 1342, avevano la custodia dei luoghi santi di Palestina. Inizialmente la Via Crucis, intesa come una serie di quattordici “quadri” disposti secondo un ordine cronologico codificato, si diffuse in Spagna nella prima metà del XVII secolo e venne istituita esclusivamente nelle chiese dei Minori Osservanti e Riformati. Successivamente, papa Clemente XII estese, nel 1731, la facoltà di esporre la Via Crucis anche nelle altre chiese, mantenendo il privilegio della sua istituzione al solo ordine francescano. Uno dei maggiori ideatori e propagatori della Via Crucis fu San Leonardo da Porto Maurizio, frate minore francescano, che ne creò personalmente alcune centinaia. Al fine di limitare la diffusione incontrollata di tale pratica devozionale, Benedetto XIV ricorse poco dopo ai ripari stabilendo, nel 1741, che non vi potesse essere più di una Via Crucis per Parrocchia. La collocazione delle stazioni all’interno della chiesa doveva rispondere a norme di simmetrie ed equidistanza. Il corretto espletamento delle pratiche devozionali, inoltre, consentiva di acquisire le stesse indulgenze concesse a chi visitava di persona i luoghi santi di Gerusalemme. Nella Chiesa cattolica ancora oggi il pio esercizio della Via Crucis è connesso con l’indulgenza plenaria, secondo normali condizioni da essa stessa stabilite. Per ottenere questa speciale forma di perdono, i fedeli devono sostare in preghiera presso ciascuna stazione, meditando sul mistero della Passione. Non vi sono particolari requisiti sulla durata della meditazione e neanche è prevista la recita di preghiere specifiche; non è neppure indispensabile che la meditazione corrisponda alle stazioni che sono dipinte. La stessa indulgenza può essere concessa a chi non è in grado di visitare materialmente le “stazioni” della Via Crucis, purché mediti per trenta minuti sulla Passione.
Oggi tutte le chiese cattoliche dispongono di una “via dolorosa”, o almeno di una sequenza murale interna, che comprende l’elenco universalmente accettato di quattordici stazioni. L’ordine dei “quadri” non segue una regola precisa lungo le pareti: può infatti essere indifferentemente orario o antiorario, nonostante la diocesi di Nanterre precisi che “…l’ordine più diffuso è quello antiorario, ma non è una regola generale…”.


Rocco Tedino