Malghe
 
L'alpeggio

Per “alpeggio” si intende lo sfruttamento sistematico durante i mesi estivi dei pascoli dell’alta montagna da parte del bestiame, e in particolare delle vacche, il cui latte viene lavorato sul posto. Le condizioni naturali fanno sì che questo tipo di attività sia molto più diffuso nelle zone alpine che nell’Appennino, dove i pascoli montani sono meno estesi e meno rigogliosi. Nella catena alpina, per motivi geografici, l’alpeggio ha rilievo maggiore a Nord dello spartiacque di quanto non ne rivesta a Sud, dove i versanti sono più stretti e più ripidi.
La pastorizia fu la prima attività delle popolazioni insediatesi, in epoche remote, nella montagna friulana e ne costituì per lungo tempo la principale fonte di sostentamento.
 
Oggi, nelle Alpi italiane, l’alpeggio è normalmente un fatto privato:
privati infatti sono quasi sempre i pascoli montani in cui viene condotto il bestiame. Anche quando i pascoli sono di proprietà del Comune, l’alpeggio viene esercitato in modo privato dalle famiglie che vi abitano in edifici propri. Nel caso delle grande aziende private, la conduzione ruota attorno alla figura del malghese: questi, affittuario (o più raramente proprietario) dei pascoli, svolgeva le attività di allevamento e produzione casearia per una molteplicità di allevatori del fondovalle, avvalendosi spesso di manodopera minorile e femminile. Così Marinelli descrisse nella sua Guida del Cenai del Ferro (1894) la gestione degli alpeggi, regolata da norme e consuetudini precise: “Questi monti casoni si affittano ad un conduttore, il quale è obbligato a ricevervi animali dai privati, tenerveli e guardarli durante i mesi della monticazione, esigendo dai loro proprietari un tanto per la custodia e corrispondendo un compenso per i latticini che ne ricava. Rapporti tutti che costituiscono da secoli una vera associazione industriale e che sono regolati da norme consuetudinarie, che dalle ultime generazioni vennero ridotte in un capitolato quasi uniforme nella nostra montagna e che fissa la durata dei contratti, la misura dei fitti, il numero degli animali che si possono monticare, la determinazione del modulo di produzione del latte e quello della rispettiva corresponsione in latticini, la conservazione degli edifici, e dei boschi, la concimazione e la conservazione dei pascoli”.
 
Mentre nei fondovalle e alle basse quote dell'arco alpino friulano i prati-pascoli sono costituiti da piccoli appezzamenti di proprietà privata, alle medie ed alte quote i pascoli occupano ampie superfici che appartengono alla media e grande proprietà: pubblica, privata e consortile. Le malghe comunali vengono messe all’asta ed assegnate al conduttore o malghese miglior offerente: la durata del contratto da questi stipulato, teoricamente di nove anni, è in realtà molto variabile. La malga privata viene gestita dal proprietario o data in affitto ad un malghese. Gli alpeggi di proprietà consortile vengono gestiti, nella maggior parte dei casi, dal consorzio stesso: da tutti i singoli appartenenti, o da un membro delegato. Dati relativi al 1984 indicano che gli alpeggi che gravitano sulla Valle dell’Alto Tagliamento sono tutti di proprietà comunale, e che questo tipo di proprietà è prevalente anche nel bacino del Lumiei, nella conca di Tolmezzo, e nel comprensorio del Canal del Ferro; che nella Val Degano dominano nettamente i pascoli di proprietà privata, mentre nelle rimanenti vallate vi è una presenza significativa, anche se non preponderante, di pascoli privati; che nella Val Canale tutti gli alpeggi (tranne uno di proprietà privata) sono di proprietà consortile.
 
Durante il periodo estivo gli alpeggi vivono una propria vita autonoma rispetto al fondovalle. Per l’utilizzazione dei pascoli alpini si costituiscono, infatti, delle unità produttive, le aziende agricole temporanee, ciascuna delle quali si occupa del bestiame e della trasformazione del latte per numerose aziende del fondovalle. Questo tipo di organizzazione comporta un notevole risparmio di lavoro e di conseguenza una maggior resa nell’utilizzazione dei pascoli. Infatti il numero degli addetti necessari per l’alpeggio risulta esiguo rispetto a quelli richiesti dall’allevamento del fondovalle.
 
Le tre figure principali che caratterizzano la vita pastorale degli alpeggi sono il malghese, il casaro ed il pastore. li malghese, di cui si è già illustrata sommariamente l’attività professionale, raccoglie le prenotazioni per l'alpeggio del bestiame e, in proporzione alla numerosità di quest’ultimo, assume il personale: il casaro (fedâr) ed i pastori. La suddivisione del pascolo e la definizione del sistema di pascolamento competono al malghese, compiti che richiedono notevole capacità ed esperienza. L’organizzazione del pascolo, infatti, varia di anno in anno e dipende da numerosi fattori: il numero dei capi alpeggiati, l'andamento stagionale, la diversa qualità e fertilità dell’erba ed il suo progressivo maturarsi. Inoltre, deve tener conto della disponibilità di risorse foraggiere in relazione al numero dei capi ed al periodo di permanenza in malga.
 
Dopo il capomalga viene, in ordine di importanza, il casaro, che si occupa della lavorazione del latte e provvede alle operazioni di cucina per tutto il personale. Non sempre questa figura è presente, talvolta è lo stesso capomalga a svolgere queste mansioni. L’abilità professionale del casaro è importante perché l’attività della malga è volta soprattutto alla produzione di prodotti caseari di alto pregio.
 
Infine i pastori, la componente più numerosa degli addetti all’alpeggio. Essi devono condurre gli animali al pascolo e vigilarne l’incolumità, pulire le logge, raccogliere il letame e collaborare alle operazioni di mungitura.
Tra i pastori esiste una gerarchia, definita in base all’età ed al tipo di animali affidati per il pascolo: il capo pastore, che solitamente è il più anziano, si occupa del bestiame da latte; seguono poi quelli che accudiscono alle manze, ai vitelli, ed infine i bambini a cui vengono affidate le capre e le pecore. Questa organizzazione è ancora oggi rispettata, anche se meno rigidamente che in passato.
 
Del tutto scomparsa è la figura femminile, che un tempo aveva il faticoso compito di mantenere i contatti tra le persone in malga e l’abitato del fondovalle. Le “farinarie” si occupavano di trasportare le vivande (principalmente farina, da cui deriva il termine loro attribuito di "farinarie”), compiendo dei percorsi anche di cinque o sei ore con carichi pesanti sulle spalle. Nel viaggio di ritorno portavano a valle le forme di formaggio da vendere. Attualmente la migliorata viabilità, l’uso di fuoristrada e di sistemi di trasporto più agevoli hanno facilitato il collegamento con il fondovalle rendendo non più necessaria questa figura. In alcuni casi si è tuttavia rilevata la presenza in alpeggio della moglie del malghese, o di un’altra figura femminile, a cui è principalmente affidata la cura della cucina e la pulizia della casera, sollevando da questa incombenza il personale della malga.
 
L’allevamento del bestiame, basandosi su uno sfruttamento altimetrico successiva delle risorse foraggiere, era scandito da ritmi ben precisi in relazione all’andamento stagionale ed era caratterizzato dalla trasmigrazione successiva del bestiame dalle stazioni del fondovalle alle stazioni di media e alta quota, ciascuna delle quali era dotata di costruzioni per l’insediamento temporaneo.
Progredendo in altitudine dal fondovalle, oltre i limiti dell’abitazione permanente, si trovavano dapprima i prati pascoli di bassa montagna, di proprietà privata, che venivano utilizzati individualmente dalla famiglia durante il periodo estivo ed autunnale. Questi erano dotati di costruzioni, gli stavoli e i fienili, per ricoverare il bestiame, lavorare il latte e conservare il fieno per un breve periodo. Oltre questa fascia, alle medie ed alte quote, erano situati i pascoli alpini appartenenti alla grande proprietà pubblica e privata che, per la notevole estensione e la distanza dal fondovalle, venivano utilizzati in forma comunitaria, le sedi temporanee, a queste quote, erano costituite da due costruzioni principali: la casera per il ricovero degli uomini, la lavorazione del latte e la conservazione dei prodotti e le logge per il ricovero degli animali.
 
All'inizio dell’estate il bestiame, allevato nelle piccole stalle di fondovalle, veniva condotto agli alpeggi, dove utilizzava direttamente il pascolo dalla metà di giugno sino alla prima decade di settembre.
La salita e la discesa dalle alte quote era preceduta e seguita da una sosta del bestiame ai prati-pascoli di media quota (pre e post alpeggio), che consentiva, in funzione della ricchezza di foraggio, un’abbreviazione del periodo di stabulazione nel fondovalle, con conseguente risparmio delle scorte foraggifere invernali.
La transumanza dal fondovalle ai pascoli alpini costituiva un fatto estremamente importante nell’economia pastorale montana: permetteva infatti di ricomporre gli squilibri che spesso si venivano a creare tra risorse e popolazione, determinati da incrementi demografici, fattori climatici e dall’accentuata frammentazione della proprietà fondiaria. Inoltre, contribuendo in buona pane al fabbisogno foraggiero del bestiame, permetteva alle aziende di aumentare del 20-25% il numero dei capi allevati e di ottenere una migliore qualità del bestiame e dei prodotti zootecnici.
 
Nell’alpe si possono trovare diverse costruzioni: la malga o casera, la cella del latte, la caciaia, la stalla o tettoia per il bestiame, il porcile e la capanna dei pastori. A seconda dell’estensione dell’alpe e della zona, il numero e la forma di tali costruzioni variano. Esse possono essere separate luna dall’altra oppure possono essere riunite in un unico blocco.
La malga (friul. casere), nelle alpi in cui viene lavorato il latte, è senza dubbio l’edificio più importante. Vi si trova il locale in cui viene preparato il formaggio, con un’immensa caldaia appesa generalmente ad un braccio mobile (muscia). Il pasto dei malgari viene preparato su un camino e consumato a un tavolo. Su un altro tavolo o su una spersola viene messo in forma il formaggio. Attrezzi fondamentali sono la zangola e un contenitore per il siero del latte, spesso munito di uno scarico che porta direttamente al trogolo dei maiali, situato davanti alla malga o nel sottoportico.
 
Ovunque viene prodotto il burro è indispensabile che ci sia una cella del latte (celâr), in quanto il latte deve restare almeno una giornata al fresco affinché si formi la crema. Quasi sempre la cella del latte è divisa da quella per il formaggio; nelle piccole aziende però esse possono ritrovarsi unite in uno stesso vano.
Se il formaggio non viene portato a valle subito dopo la fabbricazione, il che accade molto raramente, di solito viene conservato assieme al burro e alla ricotta in un luogo fresco fino all’autunno, quando viene portato al paese. La caciaia (celâr), meglio se profonda, può trovarsi sotto o accanto alla malga; più spesso però essa è una costruzione apposita, separata e ben chiusa, situata in un luogo adatto.
 
Nelle alpi più estese, e quindi in genere in quelle collettive, si costruiscono spesso dei grandi ripari in pietra, nei quali possono trovare posto fino a 100 animali. A parte la grandezza, tali recinti si distinguono dalle stalle normali per il fatto che il vano principale non presenta dei divisori per gli animali e talvolta mancano le mangiatoie.
Lì porcile è presente, anche se in forma molto primitiva, in tutte le alpi dove i maiali vengono nutriti con siero.
 
 

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